La fiscalità delle cripto attività alla luce della L. 197/22

L’art. 1 co. 126 L. 197/22 ha ridefinito la normativa fiscale che riguarda le valute virtuali detenute da soggetti fiscalmente residenti in Italia.

Focus
04.04.2023

La fiscalità delle cripto attività alla luce della L. 197/22

04 aprile 2023

Focus

La normativa per le critpo

La nuova normativa in vigore tassa le criptovalute come fossero strumenti finanziari e supera le precedenti disposizioni di prassi (Risoluzione n. 72/E/2016).
La novità principale riguarda il fatto che i proventi realizzati tramite rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività, rientrano (d’ora in avanti) nella categoria dei redditi diversi ex art. 67, co. 1, lettera c-sexies del TUIR.

L’investimento in strumenti finanziari con sottante denominato in valuta virtuale (ETF, ETN in Europa) non rileva; il fatto che lo strumento finanziario sottostante sia una valuta virtuale è da considerarsi irrilevante, pertanto, la normativa fiscale da seguire non sarà quella specifica per le valute virtuali ma quella prevista per i fondi di investimento.

Gli eventuali proventi derivanti dalla detenzione di criptovalute (proventi derivanti dallo staking) e l’ottenimento di interessi percepiti solo per aver tenuto in deposito o “bloccato” per qualche tempo le proprie criptovalute – sono anch’essi tassati al 26% come redditi diversi (si possono, quindi, compensare detti redditi con minusvalenze pregresse). Viene, quindi, superato il precedente chiarimento dell’Agenzia delle Entrate in via interpretativa con la risposta ad interpello n. 437/2022.

La tassazione delle plusvalenze

Ai sensi dell’art. 68 co. 10 del TUIR le plusvalenze maturate sulle criptovalute sono, quindi, ora tassate con imposta al 26% (la plusvalenza è la differenza tra il corrispettivo percepito alla vendita e il costo o valore d’acquisto). Ai sensi dell’art. 5 comma 2 D.lgs. 461/97 le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere sono soggette a imposta sostitutiva del 26%. L’imposta sostitutiva deve essere liquidata dal contribuente nella propria dichiarazione dei redditi e, precisamente, nel Quadro RT del modello Redditi Persone Fisiche (cd. “Regime Dichiarativo”).

Questa modalità di dichiarazione e tassazione della plusvalenza da parte del contribuente si rende necessaria, al posto del regime del risparmio amministrato, che sovente trova applicazione per i redditi diversi di natura finanziaria, per la mancanza di un intermediario residente. In assenza di chiarimenti si ritiene che per la determinazione della plusvalenza sia applicabile la previsione di cui all’art. 67 comma 1-bis TUIR, per effetto della quale si considerano cedute per prime le criptovalute acquisite in data più recente (Metodo LIFO – Last In First Out).

Il costo d’acquisto della criptovaluta dev’essere documentato dal contribuente con elementi certi e precisi (piuttosto complicati da rinvenire tramite canali ufficiali in ambito criptovalute): in assenza, il costo d’acquisto sarà considerato pari a 0 e il 26% si applicherà, dunque, non sulla plusvalenza, ma sull’intero valore di realizzo.
In caso di successione il costo d’acquisto sarà quello dichiarato agli effetti dell’imposta di successione; in caso di donazione si assume come costo d’acquisto, il valore della criptovaluta alla data della donazione.

La plusvalenza rileva in qualunque modo sia denominata, archiviata o negoziata la criptovaluta. Le plusvalenze da indicare del quadro RT dovranno essere convertite in euro. In questo caso la base imponibile sarà da determinarsi assumendo il corrispettivo della cessione, ovvero il valore normale della valuta alla data di effettuazione del prelievo.

La permuta tra “cripto-attività” aventi medesime caratteristiche e funzioni non genera plusvalenze tassabili. Il passare da una criptovaluta all’altra non genererà, quindi, reddito sottoposto a tassazione. Assume, invece, rilevanza fiscale la conversione della criptovaluta in euro o altra valuta fiat – a corso legale e/o l’utilizzo della valuta virtuale per acquistare beni o servizi. Anche l’utilizzo di una valuta virtuale per l’acquisto di un NFT (non fungible token) è considerato fiscalmente rilevante.

Franchigia e minusvalenze

La Legge inserisce, però, una particolarità per le criptovalute fissando una franchigia di € 2.000,00. Pertanto, se la plusvalenza maturata nell’anno d’imposta è inferiore ad € 2.000,00 non vi sarà tassazione. La franchigia tiene conto delle minusvalenze prodotte da eventuali compravendite in perdita. In attesa di chiarimenti è da presumere che il contribuente che realizza plusvalenze nel corso dell’anno per più di € 2.000,00 dovrà assoggettare a tassazione l’intero valore della plusvalenza, in quanto ha superato la soglia minima.

Non è, quindi, più applicabile alla detenzione di criptovalute la lett. c-ter) dell’art. 67 comma 1 del TUIR che considera come generatrice di plusvalenze la cessione a titolo oneroso di valute estere detenute su depositi o conti correnti nel periodo di imposta per almeno 7 giorni lavorativi consecutivi e per un importo che supera la soglia di 51.545,69 euro, determinato sulla base del cambio al primo gennaio di ciascun periodo di imposta.

Le minusvalenze non utilizzate nell’anno ai fini di calcolo dell’imposta dovuta sono utilizzabili nei successivi 4 anni rispetto al periodo alla data di realizzo (per questo è necessario che la minusvalenza venga indicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel quale è stata realizzata).

L'imposta di bollo

Essendo strumenti finanziari, anche sulle criptovalute sarà dovuta l’imposta di bollo pari allo 0,2% annuo sul valore delle criptovalute detenute alla fine dell’anno (dato che le criptovalute non hanno un valore ufficiale di mercato né un valore nominale non è chiara la base imponibile su cui calcolare l’imposta di bollo, sembrerebbe preferibile usare il costo storico d’acquisto).

Il monitoraggio fiscale

La Legge n. 197/2022 ha modificato l’art. 4, co. 1 del D.L. n. 167/90, includendo espressamente tra le attività oggetto di segnalazione le cripto-attività. La detenzione di criptovalute dev’essere, quindi, indicata, ai fini del monitoraggio fiscale, nel quadro RW della dichiarazione dei redditi.

In assenza di chiarimenti, la normativa impone gli obblighi di monitoraggio delle cripto-attività anche nel caso in cui le stesse vengano detenute attraverso intermediari residenti. Tale posizione è, quindi, in parziale contrasto con i precedenti chiarimenti dell’Amministrazione finanziaria. Infatti, le risposte a interpello n. 433/E/2022 e n. 437/E/2022 indicavano che tali attività si dovevano considerare di fonte estera nella misura in cui il wallet non fosse detenuto presso un intermediario residente (con conseguente assenza degli obblighi di monitoraggio nel momento in cui l’intermediario fosse invece – come nei casi esaminati dall’Agenzia delle Entrate –  una società italiana). 

Non essendoci un valore di mercato valido ai fini fiscali e non essendoci né valore nominale né valore di rimborso l’unico elemento certo a disposizione come valore da indicare nel quadro RW è il valore di costo. Pertanto, la valorizzazione delle cripto-attività nel quadro RW dovrà avvenire a valore di costo.

L'obbligo di IVAFE

L’art. 1, co. 146 della Legge n. 197/22 ha modificato l’art. 19, co. 18 del D.L. n. 201/2011, andando a prevedere l’obbligo di IVAFE per le cripto-attività. Tale obbligo viene previsto a partire dal 2023. L’imposta patrimoniale è dovuta nel caso in cui le cripto-attività siano detenute presso un intermediario non residente, o se sono archiviate su chiavetta, PC o smartphone. I soggetti passivi dell’imposta sono (ex art. 4, co. 1 del D.L. n. 167/90) le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici residenti in Italia che detengono investimenti all’estero o attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia.

L'imposta del 14%: quando si applica

Per le criptovalute detenute precedentemente all’entrata in vigore della L.197/22, è possibile per il contribuente versare un’imposta pari al 14% del valore delle criptovalute al 31/12/2022. Con il pagamento della predetta imposta il costo storico per il calcolo delle future plusvalenze sarà quello rilevato al 31/12/2022 (procedura di rivalutazione o affrancamento delle criptovalute).

La predetta imposta del 14% può essere rateizzata in tre rate annuali a partire dal 30 giugno 2023 (prima rata o importo totale). Le due rate successive sono maggiorate di un interesse del 3%.

Le mancate dichiarazioni passate

La L. 197/22 consente di sanare le mancate dichiarazioni passate.

Il contribuente che non ha mai dichiarato la detenzione di criptovalute (sulle quale non ha maturato plusvalenze e interessi) potrà sanare l’obbligo di monitoraggio fiscale dichiarando il valore del criptovalute detenute negli anni pregressi pagando una sanzione pari allo 0,5% del controvalore non dichiarato anno per anno.

Il contribuente che ha percepito redditi (plusvalenze e interessi) sulle criptovalute detenute negli anni pregressi omettendo di dichiararle può sanare la posizione pagando una sanzione aggiuntiva allo 0,5% succitato, del 3,5% sul valore al 31/12/22 delle criptovalute non dichiarate.

Gli intermediari bancari e finanziari

Con le modifiche introdotte al decreto legislativo n. 461 del 1997 si prevede la possibilità per il contribuente di esercitare l’opzione di cui agli articoli 6 (cd. regime del risparmio amministrato) e 7 (cd. regime del risparmio gestito), presso gli intermediari bancari e finanziari abilitati.

In questi casi, i predetti intermediari gestiranno direttamente, in sostituzione del contribuente, non solo le incombenze relative al pagamento delle imposte sulle plusvalenze, ma anche quelle di tipo dichiarativo (in tal caso, dunque, il contribuente non dovrà compilare il quadro RW). 

L’opzione per il risparmio amministrato è esercitabile anche nei confronti degli intermediari operanti solo in criptovalute (operatori non finanziari di cui alle lettere i) e i-bis) del comma 5 dell’articolo 3 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231).

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