Cosa è il patto di famiglia?

Con la riforma sul patto di famiglia (L. 55/2006 ) è stata introdotta la possibilità per l’imprenditore di trasferire la propria azienda (anche sotto forma di partecipazione societaria) al coniuge e/o ad uno o più discendenti, nei limiti e nel rispetto delle norme societarie e di quelle sull’impresa familiare.

Focus
24.01.2020

Cosa è il patto di famiglia?

24 gennaio 2020

Focus

L'intento del patto di famiglia

L'intento del patto di famiglia è di prevenire liti ereditarie e lo smembramento di aziende o partecipazioni societarie ovvero l’assegnazione di tali beni a soggetti inidonei ad assicurare la continuità gestionale degli stessi.

Inquadramento giuridico
È un contratto inter vivos che comporta un trasferimento immediato della proprietà. Il contratto deve essere stipulato nella forma dell’atto pubblico a pena di nullità. All’atto devono prendere parte il coniuge e tutti coloro che sarebbero chiamati all’eredità, se la successione dell’imprenditore si aprisse al momento dell’atto. L’attribuzione dell’azienda fa sorgere in capo al beneficiario l’obbligo di liquidare agli altri legittimari il corrispondente del valore della legittima in denaro o in natura. Tale obbligo viene meno se la quota di legittima dei non assegnatari è coperta dall’attribuzione di altri beni del disponente o in caso di rinuncia espressa da parte degli aventi diritto.
Il contratto può essere:

  • impugnato solo per vizi del consenso e la relativa azione si prescrive in un anno;
  • sciolto per mutuo consenso o revocato con la stessa forma del primo contratto e con la partecipazione delle medesime parti.

Scopo
Predisposizione del trasferimento della azienda di famiglia alle future generazioni, in coerenza con l’orientamento alla continuità, alla crescita ed alla creazione di valore, evitando i problemi potenzialmente scaturenti da una successione.

Profili fiscali
Prima di procedere alla trattazione dei profili tributari inerenti ai diversi trasferimenti realizzati con il patto di famiglia, va evidenziato che nelle diverse opinioni espresse dalla dottrina in ordine a tale istituto, l’unico elemento che non sembra controverso è «la natura liberale» che caratterizza il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie dal disponente al suo discendente. Decisamente più discussa appare, invece, il titolo (oneroso o gratuito) della liquidazione dei legittimari non assegnatari, cui provvede il legittimario assegnatario. A seconda dell’interpretazione adottata, ne discendono rilevanti conseguenze in ordine, soprattutto, alla possibilità di considerare, o meno, tale liquidazione un costo inerente l’acquisto dell’azienda da parte del discendente assegnatario. Sul tema, la Circolare n. 3/E del 2008 ha evidenziato che il patto di famiglia: “è caratterizzato dall’intento – non prettamente donativo – di prevenire liti ereditarie e lo smembramento di aziende o partecipazioni societarie ovvero l’assegnazione di tali beni a soggetti inidonei ad assicurare la continuità gestionale degli stessi”; il medesimo “non comporta il pagamento di un corrispettivo da parte dell’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni sociali, ma solo l’onere in capo a quest’ultimo di liquidare gli altri partecipanti al contratto, in denaro o natura”. L’amministrazione finanziaria, pertanto, esclude la natura onerosa della liquidazione effettuata dal legittimario assegnatario nei confronti degli altri legittimari. Volendo adottare un orientamento interpretativo in linea con le indicazioni fornite dalla prassi amministrativa (al fine di prevenire l’insorgere di eventuali contestazioni in sede di verifica), le considerazioni di carattere tributario che seguono partiranno dall’assunto che il trasferimento d’azienda e/o delle partecipazioni al legittimario assegnatario integra, nei confronti di quest’ultimo, un negozio integralmente a titolo gratuito.

Le imposte dirette: il trasferimento dell’azienda
Si è detto che il trasferimento dell’azienda, da parte del disponente nei confronti dei propri discendenti, concretizza una liberalità. Di conseguenza, sul piano dell’imposizione diretta, detto trasferimento va ricondotto all’art. 58 del Tuir e avverrà in regime di neutralità fiscale. I plusvalori eventualmente maturati in capo all’imprenditore emergono al momento del successivo trasferimento a terzi dell’azienda ricevuta e saranno qualificati come redditi diversi se l’assegnatario con la vendita cessa l’attività d’impresa (art. 67 lett. h-bis del Tuir), ovvero come una componente positiva del reddito d’impresa, se l’attività prosegue dopo la cessione a terzi dell’azienda.
L’art. 58 del Tuir prevede la trasmissione di valori fiscali riferiti all’azienda intesa come complesso unitariamente considerato, senza disporre nulla in merito ai valori cui devono essere iscritti i singoli beni che la compongono. Di questi valori si occupava il c. 2 dell’art. 16 della l. n. 383 del 2001, il quale stabiliva che, in caso di donazione d’azienda, “i beni e le attività ceduti” fossero assunti ai valori fiscali del disponente. La norma è stata abrogata con il D.Lgs. n. 247 del 2005 e, secondo alcuni, l’intento è stato proprio quello di offrire un’opportunità di pianificazione fiscale nel passaggio generazionale delle aziende.

Le imposte dirette: il trasferimento delle partecipazioni
Il trasferimento a titolo gratuito di partecipazioni non costituisce fattispecie imponibile né in capo al disponente né in capo all’assegnatario. Fa eccezione il caso in cui le partecipazioni siano detenute dal disponente in regime di impresa. In tal caso, infatti, il trasferimento delle partecipazioni integra un’ipotesi di destinazione a finalità estranee e, quindi, una fattispecie imponibile. Gli eventuali plusvalori delle partecipazioni emergeranno al momento della cessione a terzi a titolo oneroso (art. 67, lett. c e c-bis del Tuir). Detta plusvalenza è data dalla differenza tra il corrispettivo percepito all’atto della vendita ed il costo di acquisto della medesima che corrisponde al “costo del donante” (art. 68, co. 6, del Tuir).

La liquidazione dei legittimari non assegnatari
La liquidazione delle quote di legittima spettanti ai non assegnatari non integra, nei confronti di questi ultimi, alcuna fattispecie reddituale: la particolare natura di tale liquidazione non consente di ricondurla ad alcuna delle categorie di reddito disciplinate dal Tuir.

Le imposte indirette 
Come anticipato, secondo l’Amministrazione Finanziaria, il trasferimento dell’azienda e/o delle partecipazioni all’assegnatario, nonché la liquidazione (da parte di questo ultimo) dei legittimari non assegnatari integrano due distinti trasferimenti realizzati entrambi a titolo gratuito. L’orientamento adottato comporta rilevanti implicazioni anche con riferimento alle imposte indirette e, in particolare, ai fini dell’individuazione della base imponibile, nonché delle aliquote e franchigie applicabili alla fattispecie. Infatti, al di fuori delle ipotesi che integrano i presupposti per il regime di esenzione (del quale si dirà fra breve), entrambe le liberalità (il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni) scontano oggi l’imposta di successione e donazione . Con riferimento al regime di esenzione operante per i passaggi generazionali di aziende e/o partecipazioni, va osservato che l’art. 3, co. 4-ter del D.Lgs. n. 346 del 1990, riconduce tali trasferimenti fra quelli non soggetti all’imposta, in sussistenza dei seguenti presupposti:

  • il/i beneficiario/i devono essere il coniuge e/o i discendenti del dante causa;
  • gli assegnatari devono proseguire l’attività di impresa o detenere il controllo per almeno 5 anni ;
  • apposita dichiarazione di voler usufruire delle agevolazioni contestualmente all’atto di trasferimento o alla presentazione della dichiarazione di successione;
  • se vengono trasferite quote o azioni in società di capitali, queste devono consentire di acquisire o integrare il controllo, ex art. 2359, c. 1 n. 1, C.C. (anche se in comproprietà fra più discendenti).

Per quanto concerne il requisito di continuità quinquennale, si deve sottolinea che, a determinate condizioni, non determina decadenza dal regime di esenzione l’ipotesi in cui il discendente assegnatario, prima che sia decorso il quinquennio, decida di conferire l’azienda o le partecipazioni ricevute in una società da lui stesso controllata . La prosecuzione dell’attività d’impresa è sicuramente ravvisabile tutte le volte che l’azienda viene conferita in una società di persone. Del resto, il requisito del controllo si applica esclusivamente ai trasferimenti aventi ad oggetto quote di partecipazione in società di capitali e, pertanto, non si ritiene necessario verificarne la sussistenza in capo al conferente, nel caso in cui la conferitaria sia una società di persone. Viceversa, nel caso in cui il conferimento sia effettuato nei confronti di una società di capitali, prima che siano decorsi cinque anni, la decadenza dal beneficio dell’esenzione si verifica ogni qual volta le azioni o quote assegnate al conferente non gli consentano di conseguire o integrare il controllo della società conferitaria, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 1), C.C..
Inoltre, se il legittimario assegnatario, prima che siano decorsi cinque anni dal trasferimento dell’azienda, decide di cederne un ramo, la decadenza dal beneficio si verifica limitatamente al ramo d’azienda ceduto, sempreché, relativamente alla parte d’azienda non trasferita, venga proseguito l’esercizio dell’attività d’impresa . Qualora nel quinquennio si verifichino delle operazioni straordinarie che coinvolgono l’azienda trasferita, il requisito della prosecuzione quinquennale dell’attività d’impresa può intendersi assolto nelle seguenti ipotesi:

  • operazioni che diano origine a società di persone, ovvero incidano sulle stesse, a prescindere dal valore della quota assegnata al socio;
  • operazioni che diano origine, ovvero incidano su, società di capitali, purché il socio mantenga o integri una partecipazione di controllo, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 1), del C.C..

Con riferimento al requisito del controllo, va osservato che, in base ad una analisi testuale della norma di riferimento, non appare irrilevante che il requisito del controllo fosse integrato già in capo al disponente. Può darsi, infatti, che il disponente trasferisca all’assegnatario delle quote partecipative che, insieme con altre già detenute dall’assegnatario, consentono a quest’ultimo di detenere una partecipazione di controllo nella società di capitali (controllo che non veniva integrato in capo al disponente, in base alle sole quote partecipative in suo possesso).

Sotto il profilo soggettivo va osservato che l’ambito di applicazione dell’esenzione di cui all’art. 3, co. 4-ter del D.Lgs. 346/1990 è stato ampliato dall’art. 1, co. 31 della L. 244/2007, (finanziaria per il 2008), che ne ha esteso gli effetti anche al trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni effettuato a favore del coniuge dell’imprenditore o del possessore delle partecipazioni. Tuttavia, in tal caso, sarà necessario che il passaggio generazionale dell’azienda avvenga mediante istituto diverso dal patto di famiglia (quale per esempio il trust). L’art. 768-bis, C.C., infatti, riserva l’utilizzo del patto di famiglia ai soli discendenti dell’imprenditore (o del possessore di partecipazioni). Se i presupposti fissati per l’applicazione della norma di esenzione non vengono rispettati, si applica l’imposta di donazione e successione in misura ordinaria, oltre a sanzioni (art. 13 del D.Lgs. 471/1997) e interessi. Come anticipato, secondo l’Amministrazione finanziaria, il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni integra una liberalità diretta, distinta e autonoma dalla liberalità realizzata dal discendente assegnatario nei confronti dei legittimari non assegnatari all’atto della liquidazione delle loro quote di legittima. Pertanto, ai fini dell’individuazione delle aliquote e delle franchigie di imposta si farà riferimento al rapporto di parentela esistente fra disponente ed assegnatario e la base imponibile sarà data dal valore dell’azienda o delle partecipazioni trasferite.

Anche i modelli impositivi applicabili alla liquidazione da parte del discendente assegnatario della quota di legittima spettante agli altri legittimari non assegnatari variano a seconda della natura che si vuole attribuire a detta liquidazione. Se si tiene conto che la medesima rappresenta un obbligo di legge in capo al discendente assegnatario, dovrebbe escludersi la possibilità di qualificarla come una liberalità diretta effettuata dall’assegnatario nei confronti dei legittimari non assegnatari e la si dovrebbe (più correttamente) considerare una liberalità indiretta da parte del disponente nei confronti dei legittimari non assegnatari. In tal caso, la liquidazione della quota di legittima andrebbe assoggettata all’imposta sulle donazioni tenuto conto del legame di parentela esistente tra il disponente e i legittimari non assegnatari. Tale orientamento, tuttavia, sembrerebbe non essere condiviso dall’Amministrazione finanziaria, la quale considera detta liquidazione un’autonoma liberalità effettuata dall’assegnatario a favore degli altri legittimari. In linea con tale posizione, pertanto, la liquidazione dei legittimari non assegnatari sconterà l’imposta di successione e donazione tenuto conto dei rapporti di parentela o coniugio esistenti fra il legittimario assegnatario e gli atri legittimari.

Se la liquidazione avviene mediante il trasferimento di beni immobili sono dovute anche le imposte ipo-catastali (salvo che si verifichi la descritta ipotesi di esenzione ai fini dell’imposta sulle donazioni). Ovviamente, se il trasferimento è a favore di un soggetto in possesso dei requisiti e delle condizioni previste per l’acquisto della prima abitazione, le ipo-catastali si applicano nella misura fissa. 

Infine, va osservato che il co. 1 dell’art. 768-sexies C.C., prevede che, all’apertura della successione del disponente, il coniuge e gli altri legittimari «che non hanno partecipato al contratto» possono chiedere ai beneficiari del medesimo il pagamento della somma (oltre gli interessi legali) prevista dal secondo comma dell’art. 768-quater C.C.. L’obbligazione di liquidare i legittimari sopravvenuti ricade non solo sull’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni ma, come coobbligati solidali, anche su tutti gli altri legittimari che hanno “beneficiato” del patto di famiglia, ottenendo dall’assegnatario la liquidazione della propria quota di legittima. Con riferimento ai modelli impositivi operanti, si sottolinea che detta liquidazione, qualora avvenga mediante stipula di apposito accordo, è riconducibile alla disciplina di cui all’art. 43 del D.Lgs. 346/1990 (accordi per la reintegra dei diritti dei legittimari). Tale accordo, infatti, interviene dopo l’apertura della successione del disponente e l’applicazione della norma appena richiamata risulta funzionale a evitare una duplicazione d’imposta, rispetto a quella assolta dai coobbligati solidali, con riferimento ai trasferimenti effettuati al momento della conclusione del patto.