Intermediari, carenza di buona fede eccepibile

Focus
16.12.2019

Intermediari, carenza di buona fede eccepibile

16 dicembre 2019

Focus

Il principio di buona fede

Il principio di buona fede enfatizzato dalla Sentenza, si risolve nell'obbligo di lealtà dell'investitore verso l'intermediario, che risulterebbe violato ove l'esercizio dell'azione arrecasse un ingiustificato pregiudizio alla controparte.

Dopo oltre un anno dall'ordinanza interlocutoria della Prima Sezione, è stata pubblicata l'attesa sentenza n.28314/2019 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sull'azione di nullità c.d.selettiva nell'ambito dei contratti per la prestazione dei servizi di investimento.

La questione di diritto oggetto della sentenza è relativa all'ipotesi per cui l'investitore, dedotta la nullità del contratto quadro per difetto di forma, impugni esclusivamente una o alcune operazioni di investimento pregiudizievoli effettuate, con salvezza quindi degli utili e rendimenti ottenuti in forza di altre operazioni, potenzialmente nulle, ma non contestate.

La sentenza ha stabilito il principio di diritto per cui «la nullità per difetto di forma scritta, contenuta nell'art. 23, comma 3, del dlgs n. 58 del 1998, può essere fatta valere esclusivamente dall'investitore con la conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell'accertamento operano solo a suo vantaggio. L'intermediario, tuttavia, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l'eccezione di buona fede, se la selezione della nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del contratto quadro».

Ne emerge che la legittimazione a impugnare sia il contratto quadro, sia le singole operazioni, rimane riservato all'investitore, tuttavia l'intermediario può sempre eccepire che il cliente, nel selezionare i soli investimenti pregiudizievoli e con salvezza degli altri, non abbia agito in buona fede così disattendendo la ratio ispiratrice della norma che lo legittima in via esclusiva ad agire per la nullità. Il principio di buona fede enfatizzato dalla Sentenza, si risolve nell'obbligo di lealtà dell'investitore verso l'intermediario, che risulterebbe violato ove l'esercizio dell'azione arrecasse un ingiustificato pregiudizio alla controparte. Tale obbligo di buona fede non richiede la consapevole malafede dell'investitore, essendo invece sufficiente che, sotto un profilo oggettivo, l'esercizio dell'azione di nullità comporti effetti economici ingiustificatamente vantaggiosi per il cliente e pregiudizievoli per l'intermediario, pur in assenza di una volontà del primo di arrecare danno al secondo.

Alla luce di tale principio, l'intermediario sarà sempre legittimato a eccepire la carenza di buona fede dell'investitore, e tale eccezione sarà idonea a paralizzare gli effetti della domanda ove i guadagni conseguiti dalle operazioni non contestate siano pari o superiori al valore della domanda relativa agli investimenti impugnati. Ove invece i guadagni siano stati inferiori, l'eccezione avrà effetti impeditivi solamente parziali e la domanda di nullità potrà trovare accoglimento nei limiti del pregiudizio effettivamente subito.

La sentenza in esame sembra criticabile nella parte in cui ha escluso la legittimazione dell'intermediario a svolgere azione di ripetizione per le operazioni non contestate. L'esclusione di tale diritto non viene adeguatamente motivato e risulta in contrasto con la previsione normativa di cui all'art. 23 del Tuf. Tale norma, prevede (i) l'obbligo di forma scritta a pena di nullità del contratto quadro e, (ii) conferisce legittimazione esclusiva della relativa azione al solo cliente. Ma la forma scritta a pena di nullità prevista dall'art. 23 del Tuf è applicabile al solo contratto quadro, mentre non è applicabile ai singoli ordini di investimento così come ripetutamente rilevato dalla stessa Corte di cassazione. Se così è, anche la legittimazione esclusiva all'azione prevista dal comma 6 della stessa disposizione dovrebbe limitarsi al solo contratto quadro, non potendo parimenti trovare applicazione alle operazioni di investimento.

Ritenere dunque che gli ordini di acquisto siano al contempo atti non soggetti all'obbligo di forma scritta, ma impugnabili solo dal cliente ai sensi del comma 6, sembra una forzatura interpretativa, peraltro non motivata. Pur accogliendo quindi positivamente la soluzione di giustizia delle Sezioni Unite, il medesimo risultato si sarebbe potuto paradossalmente meglio raggiungere con una lettura dell'art. 23 del Tuf maggiormente coerente con i precedenti giurisprudenziali della medesima Corte.

Davide Davico (group general counsel di Ersel Sim Spa) e Andrea Pantaleo (avvocato DLA Piper)

Fonte: ItaliaOggi